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Torna indietro    da "IL SOLE 24 ORE" del 09/11/2009

Licenziamento lecito per una condotta scorretta e reiterata
La reiterazione di un comportamento illecito legittima sempre il licenziamento disciplinare. Ai fini della legittimità del recesso diventa perfino irrilevante il fatto che i nuovi episodi incriminati siano stati commessi in epoca anteriore a una precedente contestazione, per motivi analoghi, sanzionata con la sospensione dal servizio. All'azienda deve infatti essere concesso un lasso di tempo per elaborare i dati e scegliere le adeguate "risposte". Lo ha chiarito la Cassazione con la sentenza 22162/2009 che ha respinto il ricorso di un dipendente di una cooperativa. L'uomo aveva convenuto in giudizio la datrice di lavoro impugnando una prima sanzione di dieci giorni di sospensione e il successivo licenziamento irrogatogli per giusta causa. Il primo provvedimento era stato adottato a seguito della contestazione di aver indicato falsamente nei rapporti giornalieri gli orari di lavoro svolto fuori sede. Il successivo recesso è stato adottato a seguito della contestazione di aver reiterato lo stesso comportamento in un periodo successivo. Il tribunale ha ritenuto che la sanzione irrogata a seguito della prima contestazione fosse adeguata alla gravità dei fatti ma che il licenziamento successivo fosse illegittimo. Infatti la falsa esposizione degli orari di lavoro nei rapporti quotidiani costituiva una mera reiterazione del medesimo comportamento già sanzionato in precedenza e, quindi, non più rilevante. La corte d'appello, al contrario, ha ritenuto che da un punto di vista oggettivo i comportamenti erano gli stessi ma era diversa la loro rilevanza sotto il profilo soggettivo. Infatti, anche se era vero che tutti gli episodi oggetto sia della prima sia della seconda contestazione si erano verificati anteriormente alla prima, quello che rilevava era il momento in cui il datore di lavoro ne era venuto a conoscenza. Si doveva, cioè, tener conto anche del tempo necessario all'elaborazione dei dati e del loro raffronto con i rapporti redatti dal dipendente. Il licenziamento disposto con la seconda sanzione, pertanto, era legittimo perché si riferiva a fatti che assumevano una maggiore gravità proprio perché relativi a un medesimo comportamento reiterato nel tempo. Di qui il ricorso alla Suprema corte dove il lavoratore ha lamentato la duplicazione della sanzione in quanto tutti gli episodi incriminati si erano verificati in epoca anteriore alla prima contestazione. Non solo. L'errore della Corte d'appello sarebbe anche stato quello di avergli contestato la "recidiva" senza considerare che in questa circostanza non poteva essere applicata. L'istituto, infatti, presuppone non solo che un fatto illecito sia stato posto in essere dallo stesso soggetto una seconda volta, ma che lo sia stato dopo che la precedente infrazione sia stata formalmente contestata, cosa che non si era verificata nel caso in esame. Nessuna di queste motivazioni ha fatto breccia presso i giudici della Cassazione i quali hanno affermato che non esiste il rischio di duplicazione delle sanzioni quando il datore di lavoro, prima di contestare i fatti, ha necessità di attendere dei tempi tecnici per entrare in possesso della documentazione e, successivamente, adottare una decisione. Diverso è invece il discorso della recidiva. In questo caso, infatti, sostiene la Corte, non ne sussistono gli estremi dal momento che l'interessato non ha posto in essere una seconda volta la stessa infrazione dopo la prima contestazione. Tuttavia l'azienda non gli ha imputato la recidiva ma la semplice reiterazione della stessa condotta con la conseguenza che nessuna censura può essere mossa all'operato del datore di lavoro. Infine, conclude la Corte, il licenziamento è anche proporzionato alle violazioni che non sono state occasionali ma testimoniano una modalità sistematica di registrazione delle prestazioni di lavoro tale da minare irrimediabilmente il rapporto di fiducia con il datore di lavoro.
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