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IL SOLE 24 ORE" del
02/12/2009
Infezioni da sangue risarcibili
Lo Stato deve risarcire i malati che hanno contratto l'epatite C o l'Aids a causa delle trasfusioni di sangue infetto. E deve farlo in tempi rapidi, senza limitare gli indennizzi a determinati gruppi di malati. Lo ha deciso la Corte europea dei diritti dell'uomo che, con una sentenza depositata ieri, ha condannato l'Italia per violazione del diritto alla vita e del divieto di discriminazione. La Corte ha anche stabilito che lo Stato deve versare 39mila euro a ogni ricorrente per i danni morali subiti, rinviando la quantificazione di quelli materiali a una successiva pronuncia. È la prima volta che la Corte europea condanna l'Italia per la questione del sangue infetto. A Strasburgo si erano rivolti alcuni familiari di pazienti talassemici che avevano contratto l'epatite C o l'Aids a causa di trasfusioni di sangue effettuate nei periodi in cui non c'erano ancora controlli adeguati. I ricorrenti avevano iniziato con altre persone un'azione contro il ministero della salute che aveva dato il via libera agli indennizzi, ma solo per coloro che si erano ammalati dopo una certa data. Il ministero della salute aveva poi raggiunto un accordo amichevole unicamente con i pazienti emofilici escludendo dagli indennizzi gli altri malati. Una discriminazione contraria alla Convenzione ha chiarito la Corte europea. È vero - osserva Strasburgo- che le autorità sanitarie, nel periodo in cui erano state fatte le trasfusioni non potevano essere a conoscenza dei rischi di contagio, ma è stata violata ugualmente la Convenzione perché le autorità nazionali non hanno permesso alle vittime di ottenere rapidamente un risarcimento in sede giurisdizionale.L'articolo 2, che riconosce il diritto alla vita, non solo impone agli Stati di adottare tutte le azioni positive necessarie a garantire la vita dei malati, in strutture sanitarie pubbliche o private, ma impone anche la predisposizione di un sistema giudiziario efficace e indipendente per stabilire le cause del decesso. Nel diritto alla vita è quindi incluso il diritto a ottenere lo svolgimento di un'inchiesta effettiva che accerti la responsabilità dei danni subiti dalla vittima. Sul piano teorico i ricorrenti hanno potuto far ricorso ai tribunali civili, ma le autorità nazionali non hanno messo in campo quella diligenza speciale richiesta per trattare casi delicati come quelli dovuti alla contaminazione di sangue infetto. I processi, poi, sono durati troppo a lungo, in un caso addirittura oltre dieci anni. Per la Corte, è stato anche violato l'articolo 14 della Convenzione europea perché sono state trattate in modo diverso persone che si trovavano nella stessa situazione. Il ministero della salute, infatti, ha raggiunto un regolamento amichevole per corrispondere indennizzi ai malati di emofilia, escludendo però i malati di talassemia, malgrado entrambi i gruppi avessero malattie di origine genetica. Di qui, il trattamento discriminatorio contrario alla Convenzione, che certo non può essere giustificato – come ha fatto il Governo in causa – «per la necessità di preservare le finanze pubbliche », limitando la corresponsione di indennizzi. «Una tale diversità di trattamento –precisa Strasburgo – che si fonda sulla tipologia della patologia contratta, non è quindi conforme allegaranzie derivanti dall'articolo 14 della Convenzione». Di conseguenza, Strasburgo ha condannato l'Italia a versare 39mila euro di danni morali a ogni ricorrente e si è riservata di decidere sui danni materiali. In pratica, se entro tre mesi le parti e lo Stato non raggiungeranno un'intesa, la Corte quantificherà, con sentenza, anche il risarcimento per danni materiali.
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