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Una sentenza emessa a Parigi è destinata ad avere conseguenze molto importanti sul mondo dell’occupazione: il suicidio può essere riconosciuto come “incidente sul lavoro” se indotto da motivazioni legate allo stress provocato da orari troppo duri e/o da pressioni troppo forti. Questo principio, già chiarito dalla Cassa primaria di assistenza sanitaria dell’Hauts-de-Seine nel 2007, ha spinto il Tribunale di sicurezza sociale di Nanterre a condannare la casa automobilistica Renault per la morte di un suo ingegnere, gettatosi dal quinto piano del Centro tecnologico di Guyancourt, piccolo centro situato vicino alla capitale francese.
“Far lavorare i propri dipendenti imponendo loro ritmi ossessivi e privandoli della necessaria serenità significa sottoporli a uno stress che può sfociare in gesti estremi come quello dell’ingegnere della Renault- è il pensiero di Denis Nesci, Presidente Nazionale Epas- ma anche qualora non si arrivasse a tanto, sicuramente si darebbe vita a una serie di problemi assolutamente da evitare per il bene del lavoratore, ma anche per l’azienda stessa. La qualità del lavoro, infatti, dipende anche dallo stato d’animo di chi presta la propria opera e mette a disposizione le proprie competenze”.
La vicenda ha sicuramente dei risvolti significativi, anche perché il lavoro della casa automobilistica è già stato funestato da episodi della stessa gravità, tanto da convincere l’azienda ad operare una drastica rivisitazione della propria struttura, soprattutto dei propri centri ingegneristici, puntando innanzitutto sulla riduzione degli orari di lavoro e sull’istruzione del personale riguardo alle modalità di individuare i dipendenti in difficoltà: proprio gli orari di lavoro massacranti hanno dato vita a pressioni insostenibili per l’ingegnere di 39 anni, sposato e padre di un figlio minorenne, che, come racconta la moglie, “Negli ultimi mesi dormiva solo due ore per notte, lavorando anche tutti i weekend, dicendo comunque che non ce l’avrebbe mai fatta”. Anche i colleghi avevano notato l’inquietudine e l’ansia dell’ingegnere, che risultava pure molto dimagrito, e la sentenza si basa anche sul fatto che questi chiari segnali non sono stati presi nella giusta considerazione dai superiori, che non si erano nemmeno preoccupati di mettere al corrente della situazione il medico del lavoro.
L’epilogo di questa storia è dunque un segnale forte nei confronti delle imprese che per il profitto sacrificano ogni altro aspetto, compresa la salute dei propri dipendenti, in una realtà che troppe volte assomiglia a quella raccontata da Charlie Chaplin in “Tempi Moderni”.