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Torna indietro    da "EPAS NOTIZIE" del 29/01/2010

POST-UNIVERSITÀ E LAVORO, SITUAZIONE CRITICA

C’era una volta il lavoro accessibile, una porta che si apriva con relativa facilità, e tra tutte le chiavi per far scattare dolcemente la serratura di un mondo che garantiva stabilità e sicurezza economica, la laurea era una sorta di passepartout universale indiscutibile.

Oggi le cose non stanno esattamente allo stesso modo, come emerge (se ce ne fosse ulteriormente bisogno) dal “Rapporto Italia 2010” dell’Eurispes, che rivela come solo il 16% degli occupati tra i 25 e i 34 anni è laureato, esattamente la metà della media Ocse, pari infatti al 32%. Come se non bastasse, la popolazione di età compresa fra 24 e 30 anni soffre anche un grave gap retributivo con i lavoratori delle generazioni precedenti, basti pensare ai collaboratori over 60 che guadagnano, mediamente, sei volte di più rispetto agli under 25, a causa della relazione inversa tra età e reddito. In più la percentuale di occupati che svolgono, dopo tre anni, un lavoro continuativo iniziato dopo il conseguimento della laurea (triennale o quinquennale) è del 50%: ciò indica che la metà dei laureati, dopo ben tre anni, svolge lavori saltuari o iniziati prima di giungere all’agognato traguardo della laurea.

Tra coloro che svolgono un’attività continuativa a distanza di tre anni dal conseguimento del titolo, il 40% ha un contratto a tempo indeterminato e più del 30% è in possesso di un contratto a tempo determinato o a progetto; inoltre, solo il 58, 1% dei laureati in corsi di 5 anni (e il 56,1% dei laureati di corsi triennali) dichiara di essere occupato in un lavoro coerente col proprio titolo di studio, e il 20% dei laureati è alle prese col fenomeno della sovraqualificazione rispetto al proprio impiego.

Se le notizie relative al rapporto università-lavoro non sono rosee, non va molto meglio riguardo le indagini sulla realtà prettamente occupazionale del nostro Paese: l’Istat comunica che il tasso di disoccupazione, infatti, è salito all’8,5% (2.138.000 persone sono senza lavoro) , mentre l’Eurispes, sempre nel Rapporto 2010, afferma che gli stipendi italiani sono tra i più bassi tra quelli dei paesi maggiormente industrializzati, secondo il rapporto fra salari e potere d’acquisto. L’Organizzazione Internazionale del Lavoro, inoltre, fa presente che negli ultimi vent’anni il valore degli stipendi italiani è diminuito quasi del 13% rispetto al Pil, contro una flessione media dell’8% nelle economie più avanzate.

“Cercare di nascondersi dietro a un dito non serve- dice Denis Nesci, Presidente Nazionale del Patronato Epas- poiché i problemi esistono e vanno affrontati. Di sicuro l’influenza della crisi è innegabile e, con la ripresa economica, certe situazioni sono destinate a migliorare sensibilmente. La necessità di ripartire deve essere per tutti quanti uno stimolo importante per adottare le giuste misure a favore dei lavoratori e degli studenti, e, in generale, per tutti i cittadini”.


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