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L’indagine denominata “Sicurezza, lavoro nero, immigrazione”, condotta dall’economista Tito Boeri dell’Università Bocconi di Milano, ha prodotto risultati interessanti che, se è possibile, fanno ancora maggior chiarezza sulla situazione presente nel nostro Paese in relazione ai temi trattati dalla ricerca.
“L’esistenza di problemi molto seri legati alle tematiche del lavoro nero e dell’immigrazione sono innegabili e non vanno affatto affrontati con superficialità- è il pensiero del Presidente Nazionale del patronato Epas, Denis Nesci- ma analizzati con grande attenzione, per poter intervenire in maniera lucida ed energica, e indirizzare il lavoro di queste persone entro i binari della legalità, principio che il nostro Patronato insegue con grandissima determinazione”.
I dati in questione descrivono un quadro molto particolare, che parla di un’altissima percentuale di stranieri irregolari che lavorano (circa il 90%, mentre i regolari che hanno un’occupazione sono poco più dell’80%). Si tratta di riscontri molto significativi, che implicano altre realtà: gli stranieri non in regola, infatti, non hanno grosse difficoltà a trovare lavoro, ma nel 68% dei casi si tratta di lavoro nero; inoltre, il 40% di essi guadagna meno di 5 euro l’ora e deve affrontare turni più pesanti, molto spesso lavorando di notte. Tutto ciò, come è facile intuire, contribuisce ad aumentare i casi di irregolarità nel settore occupazionale: gli immigrati irregolari sanno che troveranno lavoro, e il fatto che sia in nero è un problema di secondaria importanza di fronte alla necessità di percepire un reddito; i datori di lavoro sanno che a queste persone possono chiedere turni di lavoro che altri rifiuterebbero, pagandoli inoltre molto meno e convinti che la probabilità di incappare in qualche sanzione è davvero bassa. Tutto ciò porta a conseguenze molto pericolose, che spiegano perché le morti bianche e gli infortuni sul lavoro aumentano sensibilmente tra gli stranieri, molti dei quali vengono impiegati in lavori a rischio senza un’adeguata formazione professionale.
“Il cambiamento da effettuare deve essere profondo- aggiunge ancora il Presidente Nesci dell’Epas- poiché deve interessare pure l’atteggiamento culturale di molte persone. A tale scopo è giusto anche premiare le aziende virtuose e far capire ad esse che la prevenzione conviene, da ogni punto di vista, anche a loro”.