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In tempo di crisi i numeri sulla disoccupazione si sprecano, e i sondaggi si susseguono senza sosta, evidenziando ora un aspetto, ora un altro. La situazione globale appare ovviamente difficile, ma quello che emerge dagli studi portati avanti non manca di sorprendere in relazione alle informazioni riconducibili ad aspetti particolari.
Se per esempio era ampiamente prevedibile registrare un aumento dei disoccupati rispetto al 2009, con circa 300.000 occupati persi, e un tasso di disoccupazione che si attesta sull’8,6% (il più alto dal 2004), lo era sicuramente di meno il fatto che la maggior concentrazione dei senza lavoro potesse riguardare il Nord, che per anni ha dominato la scena in settori come il manifatturiero. Il Sud, invece, ha pagato di meno i danni della recessione in termini di cessazione di lavoro: in tal senso è emblematico il caso della Calabria, regione che ha dovuto far fronte a diversi problemi di ordine sociale e che però, in un anno difficilissimo come il 2009, ha fatto registrare l’unico saldo positivo nel nostro Paese, con 301mila assunzioni a fronte di 276mila nuovi disoccupati. Si tratta di numeri che possono essere interpretati in modo diverso, e che in ogni caso invitano a una riflessione approfondita.
“Sul capitolo occupazione si sono scritti fiumi di inchiostro- dice Denis Nesci, Presidente Nazionale del Patronato Epas- e le riflessioni in questo senso non si sono ancora esaurite. Si tratta infatti di uno degli argomenti più importanti e delicati, che con la recessione in atto è schizzato in cima alle urgenze da affrontare. Siamo comunque convinti che sia necessario- aggiunge Nesci- incoraggiare formazione, riqualificazione e riduzione del costo del lavoro, al fine di offrire nuove opportunità a giovani e disoccupati e per dare un nuovo indirizzo alle politiche attive del lavoro”.
Sempre analizzando i dati forniti dall’Istat e dalla Fondazione studi Consiglio nazionale dei consulenti del lavoro, emerge che le offerte occupazionali di diversi settori sono aumentate: il settore agricolo è in cima a questa graduatoria, con un bel +21,36%, seguito da produzione e distribuzione di energia, gas e acqua (13,32%) e dalla sanità (7,44%). Fanno da contraltare a questi numeri quelli relativi a settori in piena crisi, come ad esempio il manifatturiero, che fa registrare un preoccupante -20,7%, e il finanziario, col suo per nulla lusinghiero -25,4%.