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Nel periodo in cui le cifre sulla disoccupazione in Italia e in Europa si confondono, e convivono voci contrastanti in cui si mescolano i moti di speranza di chi annuncia la fine della recessione e gli allarmi di chi sottolinea impietosamente che la crisi è ancora viva e vegeta, come dimostrano i numeri preoccupanti che parlano di posti di lavoro che vanno in fumo con impressionante facilità e rapidità, diventa ancor più interessante (e utile) capire quali siano i settori che meglio di altri hanno resistito allo tsunami economico-finanziario abbattutosi sul panorama mondiale.
E così, provando a districarsi fra previsioni nere e fiducia incondizionata nella ripresa, con la mediazione di chi invita a non abbassare la guardia ricordando che comunque il periodo di massima forza della crisi è stato messo alle spalle, le diverse fasce della popolazione italiana provano ad appigliarsi a qualcosa che permetta loro di riemergere dalle difficoltà o, quantomeno, che gli consenta di vedere una luce alla fine di un tunnel che ha inghiottito parecchi lavoratori, mettendo a dura prova soprattutto le economie dei soggetti socialmente più deboli.
“Reagire alla crisi e ai suoi effetti è possibile solo con una conoscenza approfondita dei fatti- sostiene Denis Nesci, Presidente Nazionale Epas- perché solo analizzando puntigliosamente le diverse realtà lavorative del Paese si possono scegliere gli strumenti e i provvedimenti più idonei per far cambiare marcia al mondo dell’occupazione”.
Gli ultimi dati parlano di una situazione alquanto critica in riferimento ai mesi finali del 2009, in cui il calo dell’occupazione è stato fissato nella percentuale dell’1,6%, il che equivale a dire che ben 380mila persone hanno perso il lavoro. Dalle cifre Istat traspare però una nota per nulla trascurabile: a fronte di 527mila italiani usciti dal novero degli occupati, la componente di lavoratori stranieri è addirittura cresciuta, arricchendosi di 147mila unità. A cosa sono legate queste differenze abbastanza nette?
Innanzitutto c’è da dire che, in genere, il lavoratore straniero è meno esigente, ha meno aspettative ed è molto più incline alla flessibilità, per cui risulta molto più portato a cambiare occupaizone, e beneficia del lento ma progressivo annullarsi delle distinzioni fatte dai datori di lavoro: se prima si dava più importanza al fatto che un aspirante dipendente fosse italiano o straniero, oggi si considerano prioritarie altre caratteristiche, e la nazionalità del lavoratore molto spesso è considerata del tutto ininfluente. Inoltre, settori in cui la percentuale di stranieri era ed è molto alta, come quello della cura alla persona o del personale infermieristico, hanno retto meglio di altri davanti alla disoccupazione dilagante.
“Il Patronato Epas ha sempre incoraggiato, in tutte le sedi, un atteggiamento di apertura verso le persone che lasciano il proprio Paese d’origine e decidono di lavorare in Italia- dice ancora il Presidente Nesci- poiché crediamo fermamente nell’arricchimento che scaturisce dal venire a contatto con altre culture e altri valori. A questo proposito, proprio oggi siamo stati presenti all’incontro presso l’Accademia di Romania, a Roma, per partecipare alla presentazione del libro “I romeni in Italia” e al dibattito in cui sono stati trattati temi importantissimi, legati soprattutto all’integrazione anche in riferimento al mondo del lavoro”.