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La recessione, si sa, ha messo in subbuglio le economie di tutti i Paesi, incidendo dovunque con grande forza. I Governi dei diversi Paesi hanno dovuto organizzarsi per limitare i danni, ricorrendo a misure speciali a sostegno dei cittadini, sperando che presto inizi una nuova fase in cui sia possibile ripartire. Tuttavia, la crisi economica ha messo impietosamente a nudo problemi endemici che le nazioni si portano dietro da diversi anni e che, un po’ frettolosamente, sono stati ricondotti alla grande marea recessiva, sperando ingenuamente che la ripresa economica spazzasse via tutte le difficoltà, vecchie e nuove, che affliggono gli Stati.
Al riguardo il pensiero di Denis Nesci, Presidente Nazionale del Patronato Epas, è chiaro: “Pensare che l’inizio della ripresa implichi automaticamente un miglioramento delle condizioni di vita per tutti i cittadini e la rifioritura istantanea del mercato del lavoro significa non aver ben presente la realtà italiana. Occorre dare il massimo proprio adesso, e serve l’apporto di tutti: Istituzioni, lavoratori, imprese, ognuno deve fare la propria parte per rimediare ai danni prodotti dalla crisi e per correggere la falle che contraddistinguono il sistema del nostro Paese”.
E così, nel momento in cui si inizia a vedere la fine del tunnel, in cui si proclama che il peggio è passato, si scopre che l’economia del quotidiano, quella cioè riservata alla gente e non agli addetti ai lavori, si presenta ancora come un terreno fangoso in cui il rischio di rimanere impantanati nell’immobilità è, purtroppo, molto reale. Se dunque l’universo finanziario pare possa smuoversi in qualche modo, quello occupazionale fa i conti con tutte le falle del sistema italiano che la crisi ha sicuramente ingigantito ma non creato dal nulla. Trovare un lavoro è, ad oggi, un’impresa tutt’altro che agevole, specialmente per alcune fasce della popolazione, e da queste difficoltà non sono affatto immuni i possessori di un titolo di studio come la laurea, molto spesso nemmeno se a questo abbinano una solida esperienza professionale. E così, nel nostro Paese, succede che molte aziende non riescano a trovare le professionalità necessarie e che molti lavoratori facciano grandissima fatica a trovare un posto o a ricollocarsi, specialmente se si tratta di over 50.
Le peculiarità italiane incidono pesantemente sul panorama attuale: in Italia, per esempio, i salari sono legati all’anzianità più che all’eccellenza, col risultato che i giovani sono spesso particolarmente penalizzati e vivono sulla propria pelle il dramma della precarietà; altra caratteristica del Belpaese è la bassa mobilità sociale, un fenomeno a causa del quale il successo professionale e il reddito dipendono, molte volte, da quelli della propria famiglia d’origine, a differenza di quanto succede nei Paesi del Nord Europa o in Canada e Corea. Allo stesso modo, anche i figli di genitori laureati risultano avvantaggiati nel percorso di studi che termina col conseguimento della laurea. A queste prove di scarsa mobilità si aggiunge l’eterna, irrisolta questione del dualismo tra Settentrione e Meridione: le ondate migratorie da nord a sud, seppur con andamenti diseguali, ci sono sempre state, e si calcola che solo nel quinquennio che va dal 2000 al 2005 si sono trasferiti al nord ben 50.000 laureati meridionali. Infine, pesa anche la scarsa propensione alla tecnologia delle imprese di casa nostra.
“La riscossa dell’economia italiana deve fondarsi su cambiamenti sociali importanti- dice ancora Nesci- che sappiano valorizzare le ricchezze della popolazione. Istruzione, lavoro e impegno sono valori che ci appartengono in pieno e che devono rappresentare il punto di partenza su cui costruire un nuovo percorso che, ne sono certo, può dare grandi risultati”.