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Torna indietro    da "EPAS NOTIZIE" del 07/04/2010

POCHI E POCO GIOVANI I MANAGER ITALIANI

Italia terra avara di manager: lo dice una ricerca portata avanti da Manageritalia, Federazione che comprende dirigenti, quadri e professional di commercio, turismo, servizi e terziario avanzato da oltre 60 anni, e che rappresenta l’organizzazione di riferimento per quel che concerne la tutela degli interessi collettivi, istituzionali, sociali, professionali e culturali della categoria.

L’indagine realizzata dalla Federazione in questione confina il nostro Paese nelle ultime posizioni riguardo la media europea sulla consistenza della classe dirigente. La frammentazione della base produttiva troppo pronunciata, le iniquità fiscali e le difficoltà di avanzamento di carriera per le donne e i giovani rappresentano ancora ostacoli troppo grandi per la realtà italiana, la cui distanza da Paesi come Germania, Regno Unito e Francia appare al momento incolmabile. La necessità di ridurre i costi, resa ancor più impellente dalla crisi, ha spinto molte grandi multinazionali operanti in Italia a concentrare le cariche dirigenziali più alte presso le proprie sedi locali, impoverendo di conseguenza le sedi periferiche: ciò ha fatto sì che, a differenza di ciò che accade in altri Paesi, la percentuale dei manager in rapporto a quella dei dipendenti sia molto bassa, attestandosi intorno al 2% (superiore, di poco, solo a quella di Grecia e Portogallo). E, in un quadro come quello attuale, diventa ancor più difficile per un giovane affermarsi e provare a ricoprire un incarico di responsabilità.

“Puntare sui giovani, responsabilizzarli e premiarli è una soluzione in cui crediamo fortemente- è il commento di Denis Nesci, Presidente Nazionale del Patronato Epas- ed è una linea che davvero può dare i suoi frutti. Di sicuro richiede coraggio, ma presenta notevoli vantaggi sia nell’immediato, perché permette di puntare su persone giovani, preparate e motivate, sia in prospettiva futura, perché i giovani professionisti di oggi saranno i professionisti esperti di domani”.

Analizzando a fondo la situazione italiana, traspare subito come da noi, in un tessuto produttivo fatto di moltissime piccole imprese attive in settori tradizionali, faccia ancora fatica ad affermarsi l’idea che la presenza di un executive possa apportare grandi benefici all’organizzazione interna; inoltre, piccoli e medi imprenditori sono scoraggiati a investire in personale dirigente qualificato per via del carico di oneri fiscali e contributivi, decisamente troppo elevato. Tutte le difficoltà relative alla realtà manageriale in Italia fanno sì, dunque, che l’età per l’accesso alla dirigenza venga posticipata di quattro anni rispetto alla media europea, creando i presupposti per una staticità che non fa bene all’economia italiana: ancora oggi l’identikit del manager italiano è quello di un uomo di almeno 50 anni, anche perché le professioniste non possono contare su un’adeguata rete di servizi  che le aiuti nella gestione di figli e genitori. Paradossalmente proprio le conseguenze della recessione possono aprire nuovi scenari, poiché la crisi ha riportato sul mercato del lavoro una serie di manager disoccupati a causa della ristrutturazione delle grandi aziende: si tratta di professionisti dotati di competenze ed esperienza, utilissimi per l’attività delle Pmi.
 


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