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Competitività e sviluppo sono concetti fondamentali per ogni economia, risultando imprescindibili nel periodo del rilancio successivo alla recessione. In Italia però la situazione non appare rosea, poiché il grado di libertà economica garantito alle imprese è decisamente basso, rendendo in tal modo difficile il tentativo di ripresa del nostro Paese.
La ricerca portata avanti dal Centro studi Confindustria lancia messaggi eloquenti e per nulla rassicuranti sullo stato di salute delle imprese italiane in rapporto alla loro libertà d’azione, misurata con un indice da 1 a 100. Secondo lo studio in questione, infatti, misurando i diversi parametri presi in esame, l’Italia risulta essere la nazione meno libera d’Europa dal punto di vista economico, totalizzando nel complesso un punteggio di 35 su 100, molto al di sotto della media europea, che si attesta a 57, e lontanissima dall’Irlanda, Paese leader di questa speciale graduatoria con 74. Inoltre, la crescita nostrana dal 2000 al 2009 è stata sempre di un punto inferiore rispetto alla media dell’Unione Europea, 0,6% contro 1,6%. L’Italia riesce a limitare i danni riguardo il capitolo “libertà del lavoro”, relativo alle regole del mercato, in cui ottiene 48, punteggio in ogni caso inferiore alla media europea; in relazione alla libertà da fisco e regolazione, siamo il fanalino di coda dell’Ue, con 31 e 18, e solo la Grecia sta peggio di noi riguardo la libertà d’impresa, dove registriamo un poco lusinghiero 37; risultati negativi, poi, si registrano anche in relazione alla libertà dallo Stato, dove racimoliamo solo un 42 che rappresenta lo specchio di un sistema costretto a pagar dazio in termini di efficienza alla presenza invadente dello Stato e della burocrazia, come testimoniato anche dai tempi lunghi per il pagamento delle imposte, poiché in Italia servono ben 360 ore all’anno a fronte delle 254 come media europea e delle 58 in Lussemburgo. Altro ostacolo importante è l’enorme debito pensionistico che l’Italia deve fronteggiare.
“Trascurare gli allarmi lanciati dagli studi fatti in materia sarebbe pericoloso- afferma il Presidente Nazionale del Patronato Epas, Denis Nesci- per cui è assolutamente necessario che le istituzioni prendano coscienza della situazione attuale apportando le dovute correzioni a un sistema che presenta troppe falle”.
Un sistema dunque farraginoso, burocratico, bloccato, che necessita di riforme in tempi brevi (specie nella Pubblica Amministrazione e relativamente alla questione previdenziale), di una gestione attenta e parsimoniosa delle risorse e di un taglio al carico fiscale, nemico numero uno dell’efficienza delle nostre aziende.
“Ripartire deve essere la parola d’ordine- aggiunge ancora il Presidente Nesci- e per questo bisogna saper toccare le corde giuste intervenendo, laddove si reputi indispensabile, anche in maniera energica, attraverso riforme strutturali e incoraggiando la libertà d’azione delle imprese, le quali devono poter godere delle stesse condizioni in cui si trovano le aziende degli altri Paesi Europei”.