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Se è vero che la crisi è indicata praticamente da tutti come la causa principale dei cali di produzione e, in generale, delle difficoltà delle economie del Pianeta, monopolizzando le attenzioni sulle misure da adottare, esistono indubbiamente altri fattori, troppo spesso sottovalutati, che agiscono con effetti altrettanto deleteri e che, solo negli ultimi anni, sono stati presi adeguatamente in considerazione; tra tutte le cause dannose per l’attività economica, un ruolo importantissimo è quello giocato dallo stress.
“Il benessere psicofisico del lavoratore va assolutamente tutelato- così si esprime il Presidente del Patronato Epas, Denis Nesci- senza lasciare nulla al caso. Si tratta di un principio fondamentale che, finalmente, trova la giusta collocazione anche nella normativa riferita alle aziende”.
Il fenomeno in questione ha trovato sempre più spazio nelle riflessioni e negli studi degli esperti preposti alla valutazione delle realtà lavorative, rivelando l’esistenza di situazioni non debitamente analizzate nei decenni precedenti. I numeri parlano ormai chiaro, evidenziando la necessità di dare il giusto peso a un nemico spesso subdolo, che finisce col minare la salute psicofisica dei lavoratori con conseguenze a volte devastanti. I problemi derivanti dallo stress da lavoro-correlato sono quantificabili in 20 miliardi di euro per perdita di lavoro e costi sanitari nell’Unione Europea, e si stima che circa il 60% delle giornate lavorative perse in un anno sia imputabile proprio allo stress: va da sé che contrastarne efficacemente le cause significherebbe ridurre le spese e alzare significativamente la produttività. Cercando di individuare il lavoratore medio affetto da questo problema, risulta che le donne sono più esposte degli uomini, che la fascia di età maggiormente colpita è quella che va dai 35 ai 44 anni, e che la categoria su cui più lo stress si accanisce è quella rappresentata dai precari; si tratta comunque di un male che tocca un po’ tutte le classi e le età, considerando che sono ben 40 milioni in Europa e 4 milioni e mezzo in Italia le sue vittime.
Per fronteggiare, o quanto meno arginare, l’azione di questo agente nocivo, tutte le aziende saranno obbligate, a partire dal 1°agosto 2010, a mettersi in regola con la normativa del Testo unico 81 del 2008, che impone la valutazione dello stress da lavoro-correlato e interventi per ridurne le cause, pena sanzioni molto pesanti, con ammende da 5mila a 15mila euro e addirittura il carcere da 4 a 8 mesi. Le valutazioni del caso dovranno essere effettuate secondo ciò che stabilirà la Commissione consultiva per la salute e la sicurezza sul lavoro; nel frattempo, comunque, si potranno utilizzare test di valutazione appositamente concepiti e affidarsi ai sopralluoghi in azienda da parte di un tecnico che utilizzerà determinati parametri per stabilire se esiste una condizione di stress; inoltre, stanno prendendo vita corsi di formazione specifici, rivolti sia ai datori di lavoro che ai valutatori, al fine di fornire metodologie adatte a tutte le realtà aziendali. Sebbene esistano schede di valutazione apposite, gran parte di queste provengono dal mondo anglosassone, per cui è bene che vengano sviluppati e messi a disposizione metodi che si adattino meglio alla realtà italiana e all’universo delle microaziende del nostro Paese.
“Fare in modo che i dipendenti possano lavorare serenamente è un bene anche per le imprese- tiene a precisare il Presidente Nesci- oltre che un diritto indiscutibile per chi presta la propria opera all’azienda. Un ambiente sereno, in cui i carichi di lavoro siano equamente distribuiti e le pressioni non finiscano per schiacciare chi lavora, dovrebbe rappresentare la normalità lavorativa per tutti”.