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Paghe minime e lavori precari, ecco come i sopravvissuti alla crisi riescono a mantenere un impiego lavorativo, spesso, però, ritrovandosi a compiere mansioni per cui non è necessario il titolo di studio conseguito.
Secondo un’indagine effettuata dal CENSIS, tra i giovani che hanno un'età compresa tra 15 e 29 anni, i diplomati e quelli con licenza media sono quelli che hanno subito le conseguenze peggiori della recessione, manifestando un calo di 181mila unità; non da meno è il numero degli occupati del segmento “giovani con diploma” che è diminuito di 161 mila unità.
Solo le lauree sembrano aver attutito l’ondata dei licenziamenti forzati, ma pur sempre con pesanti effetti: coloro che sono scampati allo scioglimento del contratto lavorativo, hanno dovuto però sopportare l’attribuzione di differenti incarichi, che non corrispondono al percorso di studi affrontato e nel quale hanno creduto; nell'ultimo anno, tra i laureati "specialistici" che hanno trovato lavoro, il 36,5% si è accorto che non era necessario studiare così tanto e che era sufficiente fermarsi prima. In cinque anni l'incremento dei laureati occupati in professioni non qualificate è stato del 197%.
Situazione certamente demotivante: si tratta di un fenomeno che, bocciando la meritocrazia, favorisce l’offerta “momentanea” del mercato del lavoro, costringendo la nuova generazione ad un atteggiamento passivo, portandola, così, ad accettare le necessità della società e non le proprie ispirazioni.
Le previsioni per il futuro non promettono bene: secondo il rapporto Unioncamere, per la fine del 2010 il sistema economico prevede una perdita di 172 mila posti, di cui 124 mila nell'industria e 48 mila nei servizi; tale situazione risulta un limite alla crescita del Belpaese, in quanto, aggravando l’equilibrio interno, la Nazione viene penalizzata nella competitività internazionale, frenando così il suo sviluppo culturale e sociale.