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L’Italia ha di nuovo ricevuto un ultimatum da parte della Commissione dell’Unione Europea in merito all’adeguamento dell’età pensionabile delle donne a quella degli uomini.
Era stata la Corte Europea, con sentenza emessa il 13 novembre 2008 a chiedere all'Italia di rimuovere la discriminazione relativa alla diversa età per l'accesso alla pensione di vecchiaia (60 anni per le donne e 65 per gli uomini) per i dipendenti pubblici, in quanto in contrasto con uno dei principi del Trattato UE e cioè quello che vieta discriminazioni basate sul sesso.
La Corte di Giustizia Europea in particolare aveva stabilito che “il regime applicabile ai funzionari pubblici italiani gestito dall’Inpdap è discriminatorio”, confermando quanto già dichiarato nel 2005, anno nel quale era stata avviata la prima procedura d’infrazione, a fronte dell’inerzia nazionale, seguita da una nuova procedura, avviata nel 2009, per la mancata attuazione della sentenza della Corte.
Con questa nuova lettera inviata alle autorità italiane, è stato richiesto al nostro Paese di adeguarsi alla sentenza della Corte Europea di Giustizia, chiedendo delucidazioni riguardo ai lunghi tempi di adeguamento impiegati, nonostante i continui richiami. Ad un anno di distanza, la Commissione Europea nuovamente interviene, minacciando l’applicazione della sanzione.
“Il nostro Paese, introducendo l’art. 22 ter con la Legge n.102/2009– afferma il Presidente Nazionale del Patronato EPAS Denis Nesci- aveva già introdotto nuove disposizioni in materia pensionistica, prevedendo un innalzamento graduale dell’età pensionistica delle donne, per giungere entro il 2018 ad un’equiparazione completa”.
“Ribadisco che in un momento particolarmente difficile per il nostro Paese- continua Denis Nesci – non è facile prendere delle decisioni, ma sono fiducioso che il Ministro del Welfare, che oggi incontrerà a Lussemburgo il vicepresidente della Commissione Europea, nonché responsabile della Giustizia Viviane Reding, cercherà di esporre con precisione le ragioni italiane al fine di trovare un compromesso tra la scadenza del 2018, prevista dal nostro ordinamento, e quella del 2012, richiesta dall’Unione Europea”
L’Unione Europea ha giudicato le misure introdotte dall’Italia comunque insufficienti, richiedendo l’abolizione del periodo di transizione previsto dalle norme italiane, da qui il sollecito ed il termine ultimo stabilito del 2012. Secondo la Commissione Europea, in base ai trattati europei sottoscritti dall’Italia infatti la parità retributiva tra donne e uomini è garantita dall’articolo 157 e la Corte Europea considera le pensioni dei funzionari pubblici equiparabili alle retribuzioni e ai regimi professionali. Per Bruxelles, insomma, le modifiche apportate dal governo italiano al sistema previdenziale pubblico non hanno risolto il problema.