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La scadenza del contratto può essere differita un’unica volta, previo consenso del dipendente e sempre che sussistano delle ragioni oggettive che giustifichino tale scelta. In questo caso specifico, la durata complessiva del rapporto di lavoro non può eccedere la soglia dei 3 anni (articolo 4). Un’eventuale prosecuzione è subordinata al pagamento, da parte del datore di lavoro, di una maggiorazione della retribuzione: pari al valore del 20% “per ogni giorno di continuazione del rapporto fino al decimo giorno successivo” e che sale al 40% “per ciascun giorno ulteriore”. Infine, la proroga è possibile fino a 30 giorni, per i contratti superiori ai 6 mesi oppure fino a 20 giorni in relazione ai contratti che hanno una durata inferiore. Per quanto riguarda, invece, la riassunzione a termine devono passare almeno 20 giorni (per i contratti che vanno oltre un semestre) oppure 10 giorni se il rapporto di lavoro si è sviluppato in un arco temporale più ristretto (articolo 5).
La Corte di Cassazione ha sollevato una questione di legittimità costituzionale (ordinanza n. 2112 del 28 gennaio del 2011) riguardo ai commi 5 e 6 dell’articolo 32 della legge n. 183/2010; i quali (nell’ipotesi dell’apposizione di un termine temporale illecito ad un contratto) stabiliscono che il datore di lavoro è obbligato a risarcire il suo dipendente, per mezzo di un’indennità onnicomprensiva. Si tratta di un importo che può essere compreso tra un minimo di 2,5 ad un massimo di 12 mensilità; la cui determinazione spetta al giudice, alla luce di diversi fattori, tra cui si possono citare: il numero complessivo dei lavoratori impiegati, la dimensione dell’azienda e l’anzianità di servizio del soggetto interessato. A ciò si aggiunge l’obbligo di procedere alla conversione del contratto da tempo determinato a tempo indeterminato.