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Torna indietro    da "EPAS NOTIZIE" del 08/04/2011

Le ragioni che giustificano i contratti a tempo determinato
Il Decreto Legislativo n. 368/2001 regolamenta il contratto di lavoro a tempo determinato, dettando una serie di regole che il datore di lavoro è tenuto a rispettare, nel caso in cui sia intenzionato a ricorrere a tale tipologia contrattuale.
 
In primo luogo, l’applicazione di un termine temporale al contratto deve trovare il suo fondamento in “ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo” che possono riguardare anche l’attività lavorativa di tipo ordinario; come è stato stabilito dall’articolo 1 del Decreto. Inoltre, il datore di lavoro deve essere in grado di dimostrare la reale sussistenza delle suddette motivazioni, in sede di contestazione. Nello specifico, le ragioni di ordine tecnico si riferiscono alla necessità di assumere personale, in possesso di qualifiche specifiche; mentre quelle produttive ed organizzative riguardano eventuali incrementi di attività, dovuti a fluttuazioni di mercato che non possono essere previste. Infine, il contratto a termine può essere anche utilizzato per sostituire i lavoratori che risultano assenti per ferie, per malattia e/o aspettativa.
 
Secondo l’articolo 3 (a meno che gli accordi sindacali dispongano in maniera differente) non possono avvalersi dell’assunzione a tempo determinato le aziende in cui, nel corso del semestre precedente, si siano verificati licenziamenti collettivi, a danno di lavoratori che svolgevano le medesime mansioni a cui si riferisce il contratto; ad eccezione dei casi in cui tale opzione venga esercitata sia per sostituire lavoratori assenti che per inserire quelli in mobilità oppure qualora il contratto non abbia una durata maggiore di tre mesi. Inoltre, il divieto riguarda le imprese “nelle quali sia operante una sospensione dei rapporti o una riduzione dell'orario, con diritto al trattamento di integrazione salariale” e quelle che non hanno effettuato il processo della “valutazione dei rischi”, ai sensi del “Testo Unico sulla Salute e Sicurezza sul Lavoro” (Decreto Legislativo n. 81/2008). Infine, l’alternativa del contratto a termine non può essere finalizzata alla sostituzione dei lavoratori in sciopero.

La scadenza del contratto può essere differita un’unica volta, previo consenso del dipendente e sempre che sussistano delle ragioni oggettive che giustifichino tale scelta. In questo caso specifico, la durata complessiva del rapporto di lavoro non può eccedere la soglia dei 3 anni (articolo 4). Un’eventuale prosecuzione è subordinata al pagamento, da parte del datore di lavoro, di una maggiorazione della retribuzione: pari al valore del 20% “per ogni giorno di continuazione del rapporto fino al decimo giorno successivo” e che sale al 40% “per ciascun giorno ulteriore”. Infine, la proroga è possibile fino a 30 giorni, per i contratti superiori ai 6 mesi oppure fino a 20 giorni in relazione ai contratti che hanno una durata inferiore. Per quanto riguarda, invece, la riassunzione a termine devono passare almeno 20 giorni (per i contratti che vanno oltre un semestre) oppure 10 giorni se il rapporto di lavoro si è sviluppato in un arco temporale più ristretto (articolo 5).

La Corte di Cassazione ha sollevato una questione di legittimità costituzionale (ordinanza n. 2112 del 28 gennaio del 2011) riguardo ai commi 5 e 6 dell’articolo 32 della legge n. 183/2010; i quali (nell’ipotesi dell’apposizione di un termine temporale illecito ad un contratto) stabiliscono che il datore di lavoro è obbligato a risarcire il suo dipendente, per mezzo di un’indennità onnicomprensiva. Si tratta di un importo che può essere compreso tra un minimo di 2,5 ad un massimo di 12 mensilità; la cui determinazione spetta al giudice, alla luce di diversi fattori, tra cui si possono citare: il numero complessivo dei lavoratori impiegati, la dimensione dell’azienda e l’anzianità di servizio del soggetto interessato. A ciò si aggiunge l’obbligo di procedere alla conversione del contratto da tempo determinato a tempo indeterminato.
 


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