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La previdenza è dunque un cantiere ancora aperto per il nostro Paese, rappresentando per molti l’autentica chiave di volta per risanare le casse della nostra economia, sempre più provata dagli effetti della crisi e dall’endemica piaga della disoccupazione: gli ultimi giorni sono stati particolarmente delicati in tal senso, poiché i dati comunicati hanno mostrato impietosamente le enormi difficoltà che affliggono l’Italia, inserita peraltro in un contesto europeo tutt’altro che sano dal punto di vista finanziario.
I dibattiti politici sono ovviamente infuocati in queste ultime giornate, e tutti i rappresentanti delle istituzioni sono chiamati ad assumersi responsabilità importanti per ricercare una soluzione ai molteplici problemi che sussistono nonostante le numerose riforme degli ultimi anni e che hanno interessato soprattutto la normativa previdenziale. Il sospetto che si intervenga di nuovo in maniera drastica sulle pensioni è concreto, così come è forte la sensazione che nel mirino finiscano le pensioni di anzianità, individuate in diversi discorsi politici come possibile voce da sacrificare per risanare i conti pubblici in tempi il più possibile ridotti.
Il nodo delle pensioni continua quindi a dominare la scena politica e, dando uno sguardo ad alcuni Paesi europei, si scopre come in fondo non esista questa grande disparità circa l’età pensionabile tra l’Italia e le altre nazioni, disparità molto spesso concepita come sbilanciata a favore dei lavoratori italiani. Se è vero che nel Regno Unito uomini e donne vanno in pensione a 65 anni (aumento graduale che si concretizza tra il 2010 e il 2020), così come in Spagna (dove l’aumento graduale per portare l’età a 67 anni inizierà nel 2018 per concludersi nel 2027), in Francia attualmente l’età per la pensione è fissata a 62 anni, con aumento progressivo di 4 mesi all’anno avviato nel luglio 2011; allo stesso tempo la Germania fissa a 65 anni l’età per la pensione, ma concede la possibilità di uscita anticipata a 63 anni per chi ha 35 anni di contributi e prevede l’innalzamento graduale a 67 anni per chi è nato dopo il 1946. C’è da chiarire però che l’età per la pensione in Italia è superiore di un anno a quella valida per la maturazione dei requisiti, per cui per la pensione di vecchiaia è pari a 66 anni (tranne che per le donne del settore privato, per le quali è stato già stabilito che si procederà all’adeguamento). Inoltre, se è vero che l’Italia presenta una sorta di anomalia rappresentata appunto dalle pensioni di anzianità, è altrettanto corretto sottolineare che in diversi Paesi Europei esiste la possibilità di deroghe riguardo l’età pensionabile sulla base del possesso di determinati requisiti.
“Crediamo fermamente che l’urgenza di intervenire per rimettere in piedi la nostra economia esista e sia ormai evidente a tutti –afferma Denis Nesci- ma reputiamo che, nonostante tale urgenza, sia fondamentale ponderare bene le conseguenze che i provvedimenti da adottare avranno anche sul lungo periodo. In tal senso occorre quindi valutare al meglio ogni aspetto –aggiunge il Presidente Nazionale del Patronato Epas- e puntare sì al pareggio di bilancio, ma anche a far ripartire la crescita economica per mezzo di misure in grado di favorire l’occupazione”.