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Torna indietro    da "EPAS NOTIZIE" del 28/02/2012

LAVORO E STIPENDI: AL DI LÀ DELLE STATISTICHE, È NECESSARIO INVERTIRE LA ROTTA
Da un paio di giorni l’argomento preferito da tv e giornali è la consistenza media della busta paga di un lavoratore nostrano: ad accendere la miccia in tal senso è stata la notizia che, secondo Eurostat, gli stipendi italiani sono tra i più bassi del Vecchio Continente, inferiori persino a quelli percepiti da chi vive in Spagna o in Grecia, vale a dire i Paesi che è di moda indicare come il limite da non superare per non essere considerati (e per non percepirsi autonomamente come) i “poveri d’Europa”. Il raffronto con le nazioni forti, come ad esempio la Germania, diventa poi impietoso nello stabilire che da quelle parti si guadagna in media quasi il doppio che nel Belpaese.

“Il dilemma sugli stipendi tiene banco da tempo nel nostro Paese –dice Denis Nesci, Presidente Nazionale del Patronato Epas- e rappresenta un problema serio che sarebbe opportuno affrontare con responsabilità. Il costo della vita continua a salire, pertanto crediamo che adeguare gli stipendi sia davvero un passo da compiere obbligatoriamente e in tempi rapidi”.

La notizia in questione rimbalza ininterrottamente da un giornale all’altro, da un istituto all’altro, da un politico all’altro, senza peraltro riuscire a tradursi (almeno fino ad ora) in qualcosa di realmente costruttivo, come magari un progetto concreto, un’iniziativa lodevole o un’idea lungimirante: al momento, infatti, è riuscita solo a fornire il pretesto per innumerevoli polemiche, smentite e commenti indignati. Il nocciolo del problema è a nostro avviso che, al di là dei freddi numeri, il problema del lavoro in Italia ha da tempo varcato i confini dell’ “Aspetto preoccupante” per sfociare nel “Dramma sociale”, e che il punto focale del discorso non debba essere necessariamente l’interpretazione diversa che parti diverse danno delle medesime cifre. Al centro del dibattito è finita la diatriba tra coloro che, allarmati dai dati forniti da Eurostat, invocano interventi urgenti perché il nostro Paese sta già raschiando il fondo del barile, e coloro che contestano l’esattezza dei dati per annunciare a tutti che in realtà le retribuzioni italiane sono in linea con la media europea e soprattutto superiori a quelle della Grecia e della Spagna.

Ora, senza finire necessariamente nelle sabbie mobili dell’interpretazione dei dati, crediamo sia opportuno precisare che contestare i dati forniti da Eurostat e affermare che i nostri stipendi siano in linea con la media europea soltanto snocciolando numeri relativi a stipendi lordi, in molti casi lontani anni luce dalla realtà della stragrande maggioranza dei lavoratori italiani, pare essere un modo tipicamente italiano di minimizzare problemi reali con cui la gente si trova a fare i conti tutti i giorni. Si tratta di una situazione simile alla media dei polli narrata dal grande poeta Trilussa, con le statistiche che raccontavano di una media di un pollo a persona, quando in realtà tante persone ne mangiavano due e altre zero. Allo stesso modo, reputiamo che sia giunto il momento di superare il vecchio adagio “Mal comune mezzo gaudio”: il cuore del problema non è sapere se la media degli stipendi italiani superi (o venga superata) di poche centinaia di euro dalla media degli stipendi spagnoli o greci, finendo quindi al di sopra o al di sotto di un’ipotetica linea d’ombra oltre la quale sembra debba scattare la povertà o prima della quale pare quasi trovarsi il benessere diffuso. Il problema vero è prendere atto di numeri che, da qualunque angolazione vengano letti, sono preoccupanti, perché il tasso di disoccupazione in Italia continua a crescere, perché le prospettive di lavoro per i giovani continuano ad assottigliarsi e perché non si intravedono all’orizzonte soluzioni credibili. La normalità è da tempo la richiesta di sacrifici ai cittadini, d’altra parte sempre più stanchi di dover fare i conti con sprechi e privilegi che gravano sulle spalle di famiglie, lavoratori e pensionati.

“La gente è sempre più scoraggiata –aggiunge Denis Nesci- e difficilmente cambierà opinione se non vedrà cambiamenti tangibili. Da troppo tempo si fanno promesse senza riuscire a creare opportunità per i giovani, senza rilanciare davvero il mercato del lavoro, senza soprattutto dare speranze per un futuro migliore. Viviamo un momento difficile –aggiunge il Presidente Epas- ma crediamo che sia davvero il caso di invertire la rotta se vogliamo che i prossimi anni siano caratterizzati da una reale ripresa e se vogliamo che tra qualche tempo la terribile crisi economica attuale diventi solo un brutto ricordo e non una realtà sempre più drammatica”.


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