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Mentre imperversano le polemiche sulle misure da adottare per risollevare le sorti dell’economia nostrana, senza penalizzare ulteriormente i lavoratori e i pensionati, sono emersi alcuni dati che hanno ovviamente messo l’accento sulle difficoltà e le ingiustizie di una realtà economica che mostra numerose falle difficili da sistemare. Come affermato dal Presidente Epas Denis Nesci, sono due le notizie che hanno messo il dito nella piaga di un’economia ferita e incapace di reagire: la disoccupazione italiana, in linea con ciò che accade nelle altre realtà occidentali ma con in più determinate caratteristiche prettamente nostrane, continua ad inanellare tristi primati, e la notizia di un nuovo record negativo (il tasso di disoccupazione nell’ultimo trimestre del 2011 è stato del 9,6%, il peggiore dal 1999 ad oggi) arriva praticamente in contemporanea con un’altra che racconta una realtà per certi aspetti imbarazzante, soprattutto se illustrata con le cifre nude e crude. Secondo quanto emerge da uno studio condotto da Bankitalia, infatti, il patrimonio dei dieci cittadini italiani più ricchi equivale a quello dei tre milioni di cittadini italiani più poveri, evidenziando una sproporzione tra i pochi ricchissimi e i milioni di disagiati che non può passare inosservata e non può esser liquidata come se si trattasse di demagogia spicciola.
Il dato che circola da qualche giorno, e che ha dato vita a numerosi commenti spesso indignati, racconta una situazione risalente al 2006 ma che è ragionevole pensare sia più che mai attuale oggi. Andando un pochino oltre il dato in sé, traspare un altro aspetto per nulla rassicurante: nel corso del tempo la distribuzione della ricchezza è sempre più appannaggio delle famiglie composte da anziani rispetto a quelle formate da giovani, e questa considerazione ne introduce un’altra di grande rilevanza anche per via delle implicazioni che porta con sé, ossia per il fatto che la ricchezza è sempre più ereditata “involontariamente” invece che costruita con il reddito derivante dal lavoro, dall’impegno e dal merito personale. In sostanza, non è il lavoro che consente ad un cittadino di elevarsi socialmente ed economicamente, bensì la fortuna di ereditare un patrimonio: si tratta di una considerazione che di certo non accresce la fiducia degli italiani per un futuro in cui la meritocrazia potrà essere la protagonista nel mondo del lavoro.
“Di certo i numeri relativi alla distribuzione della ricchezza non invitano alla serenità- dice Denis Nesci- e se si pensa che è complicato accedere al mondo del lavoro e che, in ogni caso, esso è la strada meno “normale” per avere un tenore di vita medio-alto, sicuramente si impone una riflessione seria. Detto ciò, allo stesso tempo credo che paradossalmente questa possa essere una spinta in più per milioni di persone piene di voglia di fare e ricche di capacità per imporsi contro questo sistema sbagliato- conclude il Presidente Nazionale del Patronato Epas- e per dimostrare con i fatti che cambiare è possibile, e che in questo cambiamento deve crederci ognuno di noi, con ostinazione e impegno”.