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Torna indietro    da "EPAS NOTIZIE" del 20/09/2012

LA QUATTORDICESIMA DELLA DISCORDIA
Il momentaccio che caratterizza i rapporti tra istituzioni e cittadini sta vivendo un nuovo, complicatissimo capitolo: a vestire i panni dell’antieroe, in questa occasione, è l’Istituto Nazionale di Previdenza Sociale, per la verità non nuovo a exploit di questo genere. 

 
“La lotta all’evasione è sicuramente uno strumento che ogni cittadino dovrebbe valutare in maniera molto positiva, perché il senso di equità e di giustizia non può più ammettere deroghe di sorta –afferma il Presidente Epas, Denis Nesci- ma troviamo assolutamente fuori luogo e sintomo di un’organizzazione inconcepibile quanto accaduto in queste ultime ore, ossia la richiesta dell’Inps rivolta ai pensionati che tre anni fa hanno percepito un bonus per la verità anche modesto. Chiedere la restituzione di quella somma –prosegue Nesci- è un atto che denota un modo di operare approssimativo e del tutto lontano dai principi di attenzione per le fasce più deboli, tanto decantati ma in realtà mai messi in pratica in maniera concreta”. 
 
Prima di analizzare in maniera un po’ più specifica la vicenda, però, forse è bene chiarire una cosa, e cioè: non è il principio del “diritto alla prestazione” ad essere sbagliato (sembra una considerazione ovvia, ma anche affermazioni lapalissiane, di questi tempi, esigono chiarimenti espliciti), e di conseguenza il fatto che possono accedere ad una determinata prestazione solo coloro i quali risultano in possesso dei requisiti indicati dalla legge, bensì le modalità di azione e il contesto globale che non si può più far finta di non conoscere e che, ormai, è francamente intollerabile e insostenibile, specialmente nel perseguitare senza sosta le fasce più deboli della popolazione con un’efficienza che rasenta il cinismo, laddove ogni tentativo di colpire i cosiddetti “privilegi” si infrange, con altrettanta, sconcertante puntualità, contro barricate fatte di burocrazia, invocazione del rispetto della privacy, interminabili votazioni bi-camerali, veti più o meno legittimi, esercizi di potere e via di questo passo.
 
Nello specifico, ecco cosa è successo. Antefatto: nel 2007 venne approvata una norma che stabiliva l’erogazione di un bonus, una quattordicesima, per quei pensionati con redditi annui inferiori a 8.504 euro, quindi pari a 655 euro al mese per 13 mensilità, in presenza di un’età anagrafica minima di 64 anni; l’erogazione, per una parte di questi cittadini (che in totale erano più di tre milioni di persone), era basata su un’autocertificazione del reddito. Ora il fatto: secondo l’Inps, da controlli effettuati risulta che nel 2009 circa 200mila pensionati hanno incassato la quattordicesima introdotta nel 2007 senza averne in realtà diritto, poiché le dichiarazioni presentate da queste persone risultano sbagliate; ergo, i soggetti coinvolti in questo errore dovranno restituire la quattordicesima percepita indebitamente. La conseguenza di quanto accaduto è che queste 200mila persone si vedranno ora recapitare dall’Inps le lettere per il recupero delle somme dovute. Il Presidente dell’Istituto, Antonio Mastrapasqua, si è subito premurato di assicurare che provvederà ad incontrarsi con i rappresentanti delle categorie affinché si possa trovare il modo migliore di effettuare le trattenute in oggetto, cercando di salvaguardare per quanto possibile le fasce più deboli. 
 
La notizia non ha mancato di procurare polemiche e discussioni, facendo trasparire per l’ennesima volta un concetto ormai consolidato: i cittadini sono sempre più scoraggiati davanti a provvedimenti capaci di peggiorare in continuazione la loro posizione e incapaci di tutelarli in qualche modo. Ciò che colpisce è la sensazione sempre più diffusa di un gap in crescita tra chi fa sempre più fatica ad arrivare a fine mese e chi, invece, conserva intatti privilegi che sembra impossibile scalfire. L’obiezione all’opportunità del provvedimento Inps si basa su diversi aspetti: in primis, appare quantomeno discutibile la scelta dell’Istituto di non accertare preventivamente la situazione. “Ma sono anche altre le considerazioni che non possono essere trascurate –dice il Presidente Nazionale del Patronato Epas, Denis Nesci- ad esempio il fatto che forse sarebbe il caso di estendere questo bonus ad altri soggetti, considerando anche due aspetti fondamentali, ossia i tassi di inflazione intervenuti negli ultimi anni (e in particolare dal 2008 in poi) e il potere di acquisto delle pensioni, di fatto ferme al 1992, un periodo preistorico se relazionato ai cambiamenti socio-economici registrati”. Inoltre, vengono addirittura sollevati dubbi circa la legittimità della procedura adottata dall’Inps per il recupero del credito, poiché bisognerà verificare se tali operazioni andranno ad intaccare il trattamento minimo e se l’Istituto abbia rispettato o no i termini di accertamento dei redditi previsti dalla legge.
 
Ad ogni modo, al di là di considerazioni meramente tecniche e legislative, la riflessione che emerge con maggior forza è l’atteggiamento quasi sprezzante utilizzato nei confronti di chi è stato già duramente provato e adesso vive quest’ultima novità come l’ennesima beffa, una sorta di crudele trabocchetto burocratico che incide senza pietà su una delle fasce più deboli della popolazione. Se si pensa che nello stesso tempo le auto blu in eccesso continuano imperterrite a scorrazzare per l’Italia, che bonus di ogni sorta sono ancora appannaggio di chi può godere di stipendi principeschi, che moltissime personalità politiche possono vantare percentuali di presenze in aula durante le diverse votazioni di poco superiori allo 0%, beh, crediamo che invocare l’abolizione dell’italico sistema basato sul concetto “Due pesi e due misure” debba essere il primo necessario e ineludibile, ma assolutamente non unico, passo da compiere, soprattutto quando si decide di chiedere sacrifici per il bene comune. 
 
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