Il Consiglio universitario nazionale ha diffuso ieri dati che dovrebbero far riflettere sul rapporto fra italiani e università, mettendo in luce una tendenza che nasconde aspetti preoccupanti per quel che concerne la formazione e l’istruzione dei nostri giovani. In particolare, fa sensazione la scoperta che in un decennio il nostro Paese abbia visto diminuire di quasi 60 mila unità gli iscritti alle università italiane: una vera e propria ecatombe di cui sarebbe bene approfondire cause e possibili effetti.
“Speriamo che presto vengano adottati provvedimenti in grado di riavvicinare i giovani all’istruzione accademica –dice il Presidente Nazionale Epas, Denis Nesci- e che nel fare questo si punti sì alla quantità di iscritti, ma anche alla qualità dell’offerta formativa, fondamentale –aggiunge Nesci- per essere competitivi a livello globale”.
L’Italia è già agli ultimi posti nella graduatoria relativa ai laureati tra i Paesi Osce, ma al contrario di ciò che accade in tanti altri Stati, da noi non si registrano incrementi degli investimenti in istruzione. Contrariamente a quanto si pensa, il ruolo principale in questa fuga dall’università non è giocato dalle tasse universitarie, addirittura diminuite in termini reali negli ultimi anni; hanno inciso maggiormente i tagli, che hanno di fatto ridotto in maniera drastica le borse di studio a beneficio di studenti impossibilitati ad affrontare le spese che tale istruzione comporta.
Altro tasto dolente è la gestione dei fondi destinati alla ricerca, sempre di meno e sempre più mal gestiti in termini di destinazione e tempistiche di erogazione; i fondi ministeriali sono afflitti da ritardo cronico e depotenziati da continui cambiamenti di regole che impediscono una pianificazione efficiente. Risultati negativi arrivano anche dalla sfida dei trienni: l’idea era quella di consentire a molti giovani di acquisire un titolo di studio in tempi più brevi e immediatamente spendibile sul mercato, ma in realtà la formula del 3+2 ha finito per intasare i canali occupazionali, costringendo gli studenti a vivere la laurea triennale come parte di un percorso percepito come incompleto e ancor più lungo e farraginoso di quello del Vecchio Ordinamento.
“La situazione attuale non è certo incoraggiante –conclude il Presidente Nazionale del Patronato Epas- ma può servire per stimolare una riflessione decisiva: l’università e la scuola devono per forza di cose rappresentare un canale privilegiato per il mondo del lavoro, per cui aziende e istituti formativi devono essere messi in condizione di unire le forze per consentire al Paese di valorizzare al meglio risorse così importanti”.
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