È tempo di bilanci per quel che riguarda il settore pensionistico in Italia, oggetto di numerose e importantissime riforme negli ultimi anni. I dati relativi ai lavoratori posti in quiescenza e, di conseguenza, alla spesa sostenuta dallo Stato per far fronte al soddisfacimento di questo diritto per milioni di cittadini, merita di sicuro un’analisi attenta e approfondita, al fine di capire se e in che misura gli obiettivi che si intendevano raggiungere con tali riforme siano stati effettivamente centrati.
Come era facile prevedere, è visibilmente diminuito il numero di pensioni liquidate nei primi 6 mesi del 2013, con un autentico crollo per quel che concerne soprattutto i lavoratori dipendenti, (tanto del settore pubblico che di quello privato), area che ha fatto registrare addirittura un calo del 38%. Le grandi differenze col passato sono riconducibili al sensibile aumento dell’età pensionabile, che si concretizza nella variazione importante dei requisiti anagrafici per la pensione di vecchiaia e per la stretta sulle pensioni di anzianità: inoltre, l’età media effettiva del pensionamento è destinata ad aumentare ancora, sebbene già ora si attesti sui 61 anni e mezzo per i dipendenti privati e sui 61 anni per quelli pubblici.
“La rivoluzione che ha investito il settore previdenziale ha generato grandi cambiamenti economici e normativi –sono le parole del Presidente Nazionale del Patronato Epas, Denis Nesci- e ha creato anche difficoltà di un certo rilievo a tanti cittadini. Ad ogni modo, però, le riforme messe in atto sono state reputate dolorose ma necessarie per il risanamento dei conti pubblici, per cui la speranza adesso –dice ancora Nesci- è che in futuro non si debba più ricorrere a provvedimenti così radicali a danno dei lavoratori”.
Provando a fornire qualche dato in merito a tali riforme, oltre alla netta diminuzione del numero di pensioni erogate, il dato di maggior rilievo è senza ombra di dubbio l’ipotesi di risparmio avanzata dall’Inps: l’Istituto Previdenziale ha stimato in oltre 80 miliardi di euro il risparmio realizzato nel decennio 2012-2021 con l’attuazione delle nuove norme rispetto alla normativa prima in vigore. Interessante notare anche come, con un’età media effettiva di pensionamento di 61 anni e mezzo, l’Italia è molto vicina alla Germania (61 anni e 7 mesi) ed è ormai molto più avanti della Francia (59,3 anni), mentre resta ancora “più giovane” di Spagna, Regno Unito e Svezia. Nel parlare di età media, però, è bene tener conto che ancora oggi l’età per la pensione è molto diversa tra i diversi settori, andando dai 54,8 anni per i corpi di polizia fino ai 71 anni per i magistrati.
“La questione risparmio è senza ombra di dubbio una priorità assoluta per il bene del Paese –osserva Il Presidente Epas- e purtroppo spesso questa esigenza è stata realizzata mediante scelte e soluzioni poco popolari. Allo stesso tempo, però, speriamo che provvedimenti e misure dell’immediato futuro non debbano basarsi su ulteriori sacrifici richiesti a lavoratori e pensionati –conclude Nesci- ma che si trovino rimedi che non vadano a gravare sulle tasche dei cittadini e a colpire i redditi più bassi, ma che trovino le risorse necessarie attraverso altre vie, come ad esempio la lotta agli sprechi e all’evasione”.
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