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Torna indietro    da "REDAZIONE EPAS" del 21/10/2014

DONNE LAUREATE E LAVORO, DIFFICOLTÀ SUPERIORI RISPETTO AI COLLEGHI MASCHI
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“È cosa nota che nel nostro Paese non siamo ancora riusciti a valorizzare al massimo il legame fra istruzione e lavoro –dice Denis Nesci, Presidente Nazionale del Patronato Epas- e ciò crea notevoli difficoltà soprattutto ai neolaureati, i quali faticano a farsi largo nel complesso universo occupazionale e ovviamente il danno si ripercuote in maniera pesante anche sul nostro sistema economico. Inoltre –aggiunge il Presidente Epas- esiste un problema nel problema, poiché molto spesso tali enormi difficoltà diventano ancora più grandi per le giovani laureate, costrette spesso ad accontentarsi di mansioni meno in linea con i propri profili formativi o addirittura di stipendi più bassi di quelli dei loro colleghi uomini, pur svolgendo lo stesso lavoro”.

Il 3° Rapporto Bachelor traccia un quadro abbastanza completo sui “Giovani in cammino tra università e carriera”, soprattutto per ciò che riguarda le differenze ancora esistenti tra laureati e laureate nell’approccio al mondo del lavoro. Nonostante una maggiore sensibilizzazione sul tema negli ultimi anni, è innegabile che non si possa ancora parlare di una perfetta e indubbia uguaglianza tra uomini e donne nel momento in cui i neolaureati fanno il proprio ingresso nel settore occupazionale, una volta portata a termine l’esperienza universitaria. E le differenze si traducono praticamente sempre in un surplus di difficoltà per le donne: dal tempo necessario per trovare il primo impiego al tipo di impiego stesso, dalla tipologia contrattuale al ruolo assegnato, sono sempre le laureate a vivere una situazione di svantaggio; eppure, non è l’applicazione di standard meritocratici a determinare questa tendenza.

Nella stragrande maggioranza dei casi, infatti, le ragazze riescono a laurearsi prima o con voti più alti rispetto ai colleghi maschi, eppure a livello nazionale, a quattro anni dal conseguimento della laurea, il 26% di esse risulta disoccupata, contro il 20% degli uomini; inoltre, mentre il 42% dei maschi dopo il medesimo lasso di tempo guadagna tra i 1.250 e i 1.750 euro mensili, tale reddito è appannaggio solo del 28% delle ragazze. Tra gli occupati poi, il 50% degli uomini ha un contratto a tempo indeterminato, traguardo raggiunto solo dal 27% delle donne. Anche a livello di primo impiego c’è da far notare come solo il 24% delle neo laureate ha svolto un lavoro coerente col proprio indirizzo di studi, a fronte del 32% dei laureati. La situazione, se possibile, diventa ancora più cupa al Sud: 4 anni dopo la laurea il 49,6% delle ragazze è disoccupato, contro il 42,3% dei ragazzi, e solo il 15% delle laureate ha un contratto a tempo indeterminato, contro il 39% dei laureati. Anche per ciò che concerne la retribuzione l’andazzo è lo stesso, con il 25% delle laureate che guadagna addirittura meno di 500 euro al mese (come il 19% dei laureati) e solo il 34% che può vantare uno stipendio tra 750 e 1.250 euro (contro il 52% dei ragazzi).

Come spesso accade in questi casi, fenomeni tanto complessi sono riconducibili ad una molteplicità di fattori: in questo caso sicuramente incide anche il fatto che le ragazze, almeno fino a pochi anni fa, erano maggiormente orientate verso facoltà con i più bassi livelli di occupabilità. Ad ogni modo però, e considerando che tale tendenza pare essere in declino, sarebbe opportuno favorire percorsi di orientamento e formazione in grado di preparare gli studenti al mercato del lavoro, e far sì allo stesso tempo che il mondo dell’occupazione posa essere in grado di valorizzare al meglio le straordinarie risorse rappresentate da un sapere il più possibile variegato.

“Lo Stato ha il dovere assoluto di saper rispondere alle esigenze produttive del sistema economico, ma allo stesso tempo –dice Denis Nesci- non può esimersi dal valorizzare al massimo grado inclinazioni, aspirazioni e competenze dei propri cittadini. L’apporto dei nostri giovani, sempre più preparati e disposti a mettersi in gioco, rappresenta la più grande sfida per il futuro del nostro Paese –conclude il Presidente Nazionale del Patronato Epas- e occorre fare in modo che queste nostre risorse non vadano disperse, ma vengano incanalate nel difficile percorso della ripresa economica, culturale e sociale dell’Italia”.

 


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