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“La situazione italiana è davvero parecchio critica e purtroppo, in situazioni come questa, qualunque proposta può apparire come la soluzione a tutti i problemi –afferma Denis Nesci, Presidente Nazionale del Patronato Epas- e può portare molte persone a compiere delle scelte solo sulla base dei bisogni immediati, senza che si abbia la piena consapevolezza delle conseguenze, o forse solo per questioni di estrema necessità. La possibilità offerta ai lavoratori di poter usufruire in busta paga del proprio Tfr –aggiunge il Presidente Nazionale Epas- non ci sembra essere una misura davvero efficace per far ripartire l’occupazione e i consumi, ma rischia anzi di trasformarsi in un boomerang capace di mettere in crisi le aziende per via dei pesanti esborsi a cui sarebbero soggette, ma anche gli stessi lavoratori che si troverebbero poi, una volta terminato il rapporto lavorativo e in attesa di trovare una nuova occupazione (cosa tutt’altro che agevole), senza un paracadute importante come appunto il Trattamento di fine rapporto”.
Quello che è già diventato un nuovo tormentone in ambito economico-occupazionale, in realtà, sembra un fenomeno destinato a incidere meno del previsto rispetto all’idea di chi ha proposto tale rivoluzionaria novità, ossia appunto la scelta fornita al lavoratore di usufruire dal 1° gennaio 2015 della quota di Tfr che, fino ad oggi, viene mensilmente accantonata dall’azienda. In tempi di crisi, sicuramente, qualunque entrata supplementare può far gola a chi percepisce un salario medio-basso (ossia la stragrande maggioranza degli italiani), anche a rischio di andare ad intaccare una delle poche garanzie ancora in piedi da opporre a possibili difficoltà future.
Riguardo alle intenzioni dei lavoratori italiani sull’argomento, la Confcommercio ha provato a fare un po’ di ordine, cercando di capire realmente quanto i dipendenti delle imprese nostrane siano disposti ad approfittare di questa novità in maniera concreta: dall’analisi emerge che un lavoratore su cinque è pronto a chiedere il Tfr in busta paga. Provando ad approfondire il discorso, coloro che dichiarano di voler sfruttare tale possibilità sono soprattutto lavoratori con età fra i 25 e i 34 anni, maschi, single, che vivono nella famiglia d’origine. Riguardo al modo in cui pensano di utilizzare questa somma, molti dicono che provvederanno a fronteggiare spese ritenute necessarie o comunque all’acquisto di beni che sarebbe altrimenti complicato potersi permettere; un po’ più bassa la percentuale di coloro che affermano di voler risparmiare la quota di Tfr ricevuta, mettendola magari in banca.
L’indagine in questione è stata condotta su imprese dell’industria e del terziario con un numero massimo di addetti pari a 49. Sono soprattutto le aziende del secondo settore, come quelle del manifatturiero e delle costruzioni, a presentare dipendenti pronti a sfruttare l’opzione del Tfr in busta paga (il 34,3% del totale), mentre tale novità sembra interessare meno il terziario (10% delle aziende).
“Crediamo che ci sia tanto da fare per consentire all’Italia di abbandonare definitivamente le difficoltà attuali –dice Denis Nesci- e che occorrano misure significative, forti, coraggiose e di grande impatto. Il rilancio dell’occupazione, gli investimenti nella formazione, l’attenzione alle esigenze reali dei cittadini, dalla previdenza al Fisco, dalla cultura alle infrastrutture: sono questi i settori su cui serve un deciso cambio di marcia –conclude il Presidente Nazionale del Patronato Epas- e su cui gli italiani si aspettano concreti ed efficaci cambiamenti”.